La presa in carico con il servizio ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) è un momento cruciale. Spesso abusiamo del termine "prendere", quasi ci riferissimo a una cosa, ma si tratta dell'inizio di un piano di cura e di una progettualità dell'assistenza, le cui radici si fondano proprio nel primo contatto con l'utenza.
Quest'ultima viene approcciata in primis dal caremanagement interno per la raccolta dei dati anagrafici, dell'anamnesi e delle informazioni generali rispetto al setting domiciliare. Già questa prima chiamata pone all'operatore una prospettiva di cura e deve accendere campanelli di allarme. Facciamo un esempio: il paziente vive da solo, saltuariamente qualcuno gli porta da mangiare, ha bisogni infermieristici e nessun parente prossimo vicino. Queste informazioni vanno riportate in cartella, raccogliendo i riferimenti di un caregiver di riferimento riferito dal paziente; sono aspetti che al momento della formale attivazione del servizio vanno approfonditi, indagati e capiti. Questo perché un paziente ADI spesso non chiede la risposta a un singolo bisogno, ma deve essere seguito in un'ottica di rete. Ciò significa porsi in una dimensione di ricerca di nuovi attori dell'assistenza, al fine di comporre un piano assistenziale con più figure e servizi che, a vario titolo e modo, possano essere utili e funzionali alla permanenza del paziente al domicilio. E ancora: l'infermiere al domicilio può riscontrare un'inadeguata igiene personale e ambientale, oppure un deperimento importante del paziente che porta a pensare ad un'alimentazione non consona e così via. Porsi in un'ottica di rete vuol dire guardare il problema, capire la molteplicità dei bisogni e, consapevoli di non poter rispondere da soli a tutti, attivare nuove risorse (i servizi sociali territoriali, altri enti di Terzo Settore, medico di base etc). Non è un lavoro semplice, non è scontato ed è faticoso, ma è garanzia di una buona qualità del servizio di assistenza domiciliare!
Alessandra Izzo